Le complicanze negli interventi di routine sono presunti errori?

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Il dies a quo della prescrizione delle complicanze negli interventi di routine decorre dalla data di esteriorizzazione del danno. Questa è la tesi sostenuta dalla III sez. della Corte di Cassazione Civile (ordinanza del 25.09.23).

Questa ordinanza riguarda un caso da me seguito in qualità di medico legale e mi ha lasciato un pochino perplesso sulla motivazione del rigetto della specifica domanda sulla prescrizione del diritto al risarcimento (non per il fatto reato che hanno, invece, accolto).

La motivazione del rigetto della domanda

La motivazione del rigetto della domanda nasce dalla giusta premessa che “…la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento della verificazione materiale dell’evento di danno, bensì dal momento della conoscibilità del danno inteso nella sua dimensione giuridica; un danno ingiusto, cioè, che non soltanto sia “oggettivamente percepibile” all’esterno (elemento della conoscibilità del danno), ma che – attraverso parametri oggettivi quali la diligenza esigibile all’uomo medio e il livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico – possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa/dolosa di un terzo (requisito della rapportabilità causale)“…

Ma si perde nella “presunzione” seguente, ossia che “…il carattere mobile dell’iniziale dies a quo e il suo “spostamento in avanti” si giustificherà nelle ipotesi in cui sia dato scindere, sotto il profilo temporale, il momento dell’accadimento materiale dell’evento di danno e il diverso momento della “esteriorizzazione del danno” nei termini sopra precisati...

ben può darsi il caso di coincidenza tra il momento di verificazione dell’evento di danno e il momento in cui si ha conoscenza del danno ingiusto subito ovvero se ne realizza la conoscibilità (nei termini sopra evidenziati), con la conseguenza che la decorrenza della prescrizione avrà inizio nel momento stesso in cui si è prodotto l’evento di danno, senza che vi sia uno “spostamento in avanti” del relativo dies a quo

Tale coincidenza ha trovato idonea giustificazione nel fatto che la conoscibilità del danno da perdita del rapporto parentale da parte dei congiunti di F.P. e la loro percezione, in base all’ordinaria diligenza, della astratta riconducibilità del danno stesso alla condotta potenzialmente inadempiente dei sanitari (requisito della rapportabilità causale) era in punto di fatto apprezzabile in ragione dell’essersi il decesso verificato “a seguito di ricovero in ospedale per intervento di osteosintesi di riduzione di frattura diafisaria del femore destro” e, dunque, in modo “inaspettato a fronte della tipologia sostanzialmente di routine dell’intervento

Tutto ciò significa che le complicanze negli interventi di routine devono essere presuntivamente colpose.

Ergo, ogni volta che ci si trova di fronte ad un decesso inaspettato bisognerà querelare il medico o richiedere il risarcimento alla struttura.

Insomma come desidera il legislatore che attualmente si sta dimenando per trovare una soluzione di “ridurre” i casi di responsabilità penale del medico e alla faccia del giusto principio che il danno non coincide in re ipsa con l’inadempimento.

Cerchiamo di comprendere perché non si condivide questo “nuovo” principio sotto un profilo logico.

Quali sono gli elementi che caratterizzano il dies a quo nei danni lungo latenti?

a) l’esteriorizzazione del danno in tempi successivi al fatto illecito (contagio colposo);

b) la conoscibilità del fatto giuridico, ossia l’aver coscienza del fatto illecito che può essere “mobile” ossia può avvenire in tempi successivi dalla esteriorizzazione del danno secondo l’ordinaria diligenza dell’uomo medio.

Quali sono, invece, gli elementi che caratterizzano il dies a quo negli interventi di routine?

a) l’atto medico e la sua routinarietà;

b) il verificarsi della complicanza (evento avverso) normalmente non atteso;

c) la “straordina” diligenza dell’uomo medio

d) la presunzione giuridica.

Il caso

Prima di tirare le somme vi spiego il caso che la Cassazione ha esaminato

Uomo ottantenne con precedente protesizzazione di anca due anni prima dell’ultimo ricovero dove decedeva e nel quale aveva subito una perdita ematica ai limiti della fisiologicità in interventi del genere (considerato anche il contenuto di emoglobina ai limiti inferiori della norma che caratterizzava questo paziente). Si ricoverava due anni dopo per frattura dell’arto controlaterale e subiva una imponentissima emorragia durante l’intervento che gli causava nel giro di 10 minuti una perdita ematica di HB del 50% circa. Vi fu un ritardo nella trasfusione ematica e dopo un paio di giorni decedeva.

Gli eredi dopo 9 anni mettevano in mora la struttura con ricorso 696bis e il CTU evidenziava le negligenze dei sanitari e presupponeva che l’eziologia della copiosa emorragia potesse dipendere da una lesione arteriosa colposa.

Tirando le somme, nel caso de quo esistono i seguenti elementi:

a) l’atto medico colposo e la complicanza emorragica;

b) il decesso del paziente dopo qualche giorno;

c) il sospetto del fatto illecito dopo 9 anni.

Mi dite cosa cambia rispetto ad un decesso da infezione di HCV avvenuta molti anni prima e la sua richiesta di indennizzo presso la Commissione Medica?

Udite bene: solo la scarsa diligenza media degli eredi di non aver sospettato che:

a) la lesione arteriosa fosse verosimilmente colposa;

b) che la emorragia fosse verosimilmente colposa;

c) che la gestione del paziente in fase pre e post sanguinamento fosse verosimilmente negligente o imprudente

Il tutto perchè la riparazione di una frattura di femore è un intervento di routine.

Allora quali sarebbero le conclusioni da tirare?

Che ogni paziente o erede di un deceduto che ha subito un danno da complicanze negli interventi di routine è obbligato a ritenere l’atto medico subito colposo tanto da dover ricercare la verità in un tribunale penale o civile.

Ma secondo voi è cosa buona e giusta? Ne parleremo anche in una delle prossime tavole rotonde dell’Accademia della Medicina Legale.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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