Risarcimento da perdita anticipata della vita: è ora di cambiare rotta

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Risarcimento da perdita anticipata della vita: è tempo di cambiare rotta. Da una proposta ex art. 185 cpc, assurda e simbolica, ad un’altra più logica.

Quanto costa cagionare la perdita anticipata della vita all’autore dell’illecito?

Esiste una differenza di valutazione del risarcimento tra una anticipazione di un decesso prevedibile da uno non prevedibile?

Come si qualifica il danno da perdita anticipata della vita, come danno morale o danno biologico? Ed ancora, è giusto quantificarne il risarcimento in base al tempo del mancato godimento del familiare “perso” o appare più razionale valorizzare il tempo di sofferenza residua (in termini di tempo) delle vittime secondarie?

La giurisprudenza va verso una soluzione sbagliata razionalmente

Tante domande e riflessioni sono possibili, ma la giurisprudenza va verso un’unica soluzione, quella sbagliata razionalmente.

È razionale dare un valore ad ogni singolo anno di vita perso come se si stesse risarcendo la vittima prima che ormai è deceduta, o meglio come se si stesse risarcendo un “maggior danno biologico”?

Parliamoci chiaro, causare la lesione del tessuto familiare non significa univocamente recidere il godimento di un congiunto, ma anche procurare una sofferenza interiore alle vittime secondarie che porteranno dentro fino alla fine dei propri giorni, in quanto un lutto provocato da fatto illecito non si metabolizza come un lutto fisiologico da cause naturali.

Se qualcuno di voi ha da contestare la logica di questa riflessione lo faccia senza indugi. Insomma si sta scherzando con la sofferenza della gente, con lo sconvolgimento della vita quotidiana che non è una semplice conseguenza “dinamico-relazionale” di un danno biologico (aberrante qualificazione!).

Di questo argomento se ne parlerà nella tavola rotonda del 12 giugno, ma qui si è voluto lanciare un sasso che procuri dolore e riflessioni a chi scrive ordinanze come quella che si allega alla presente dove si fa anche un po’ di autorevole confusione.

Se esistono le tabelle a punti calcoliamo il risarcimento in base a quei criteri e non agli anni di sopravvivenza della vittima primaria 80enne, per esempio, che dunque vale poco con il ragionamento espresso nell’ordinanza allegata.

In conclusione, perché non si pensa di risarcire il danno morale delle vittime secondarie in base alla loro probabile sopravvivenza invece di parametrare il risarcimento al tempo del mancato godimento del congiunto?

Non vi sembra più razionale?

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della medicina Legale)

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