Insanabile incertezza: quanti giudici di prime cure la conoscono davvero?

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La perdita di chance è una insanabile incertezza tra danno evento e danno conseguenza, ma questo alcuni giudici non lo sanno o non lo comprendono. Cosa si deve fare per un taglio a questa incertezza culturale?

Vi alleghiamo una sentenza che evidenza come il giudice relatore abbia smarrito la memoria culturale. Fa riferimento alle dotte e chiare sentenze della Suprema Corte di Cassazione ma conclude all’opposto delle argomentazioni riportate nelle sentenze stesse.

La giurisprudenza di Cassazione dal 2018 è molto chiara su questo argomento: la perdita di chance è tale se vi è assoluta incertezza causale tra danno evento (derivato dall’illecito professionale accertato secondo i criteri della causalità materiale) e danno conseguenza.

Il giudice relatore, nel caso che si allega, accerta l’illecito e stabilisce il nesso di causa tra questo e il decesso del paziente e poi conclude con una “perdita di chance” in considerazione delle conclusioni del ctu che affermavano che un diverso e precoce trattamento chirurgico avrebbe “regalato” al paziente 50enne, con moglie e due figli a carico, una probabile sopravvivenza a 5 anni del 60%.

Quindi il Giudice relatore, che nel stabilire la liquidazione del danno fa un pastrocchio (motivo di appello per i ricorrenti), definisce questo 60% di probabilità una insanabile incertezza perchè, si ritiene, che non conosca le regole della causalità civilistica e non comprenda il significato della incertezza assoluta.

Riportiamo qui solo uno stralcio della sentenza che, comunque, si allega per intero e che fa comprendere l’inesattezza delle conclusioni del Giudice:

“…Infatti il dott. Galipò ha chiarito e sul punto non è stato smentito dal CTP di parte convenuta facendo riferimento a studi o linee guida diverse da quelle citate dal primo, che nel caso di TRIGONO RETROMOLARE come quello in esame, con una lesione di 3 cm di diametro e componente infiltrante, si sarebbe dovuto innanzitutto fare una precisa stadiazione tramite TAC ed in base ad essa studiare l’approccio chirurgico più appropriato, che comunque, avrebbe dovuto essere esterno o interno ed esterno e non solo interno transorale, interessare le strutture ossee del bordo alveolare superiore, del palato duro, del bordo alveolare inferiore e della mandibola. In tal modo, seguendo tale procedura corretta e conforme alle linee guida dell’epoca, si sarebbe sradicato completamente il tumore, ancora di piccola estensione e localizzato, in fase iniziale, già con l’intervento del maggio del 2004, ovvero anche subito dopo, con un intervento correttivo, immediato e più invasivo. In questo modo, secondo il principio “del più probabile che non”, il paziente se pure non fosse guarito, avrebbe avuto la probabilità di sopravvivenza superiore al 65% (fino al 90%). In sostanza, dalle conclusioni concordi del CTU e del CTP di parte attrice, si desume che l’approccio corretto della neoplasia, avrebbe potuto evitare il decesso, ossia l’evento è espresso in termini di mera possibilità, tuttavia avrebbe in termini di alta percentuale di probabilità, garantito comunque al paziente un periodo di sopravvivenza maggiore.

La certezza sul nesso di causalità e l’incertezza sull’evento, inducono a configurare nella fattispecie “la perdita di chance”, propri sulla base dei principi dettati dalla sentenza della Corte di Cassazione n.5641/18, citata dagli stessi attori…”.

Comprendete com’è chiaro che il giudice non sappia effettivamente cosa significhi “insanabile incertezza?

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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