La prova della causa di lavoro grava sul lavoratore: ma quale probabilità deve avere?

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Nelle malattie professionali non tabellate la prova della causa di lavoro è a carico del lavoratore (III cap. – seconda parte)

Ricollegandoci all’articolo di domenica scorsa (Malattia professionale non tabellata: il nesso di causalità ) desideriamo scrivere su alcuni concetti, come di seguito riportati:

1) Sentenze della Corte di Cassazione: Prima di trattare tale paragrafo, si deve  nuovamente ricordare   che la struttura delle più recenti Tabelle delle malattie Professionali  di cui al D.M. del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 9 aprile 2008 ( Gestione Industria ed Agricoltura ), all’elencazione delle diverse patologie reca anche una voce aperta “  Altre malattie causate da esposizione professionale  a…….. “, togliendo così  dall’alveo delle malattie non tabellate quelle forme cliniche che la letteratura scientifica più accreditata ha già sul piano biologico correlato alle sostanze oggetto della voce tabellare in modo da rendere più semplice e rapido il loro riconoscimento e quindi non determinando una “ reformatio in peius “  delle precedenti Tabelle dove, di norma, erano elencate solo  gli agenti.

Citiamo così la Sentenza  della  Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 1 marzo 2006, n. 4520: “ In ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, ovvero, esclusa la rilevanza della mera possibilità di eziopatogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di una seria probabilità, esclusa la mera possibilità, tenendo conto anche, come nella specie, della chiusura del reparto al quale il lavoratore era addetto, per nocività delle lavorazioni, mediante il ricorso ad appropriati criteri medico legali, normalmente acquisibili mediante consulenza tecnica. ( Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto la decisione di merito carente nelle motivazioni proprio per la mancanza di una adeguata istruttoria per aver ritenuto l’eliminazione del reparto adibito alla produzione di lana di vetro, cui era addetto il lavoratore che aveva contratto il mesotelioma pleurico, preclusiva di ulteriori indagini. La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio invitando il Giudice del rinvio ad accertare se la patologia che aveva condotto alla morte del lavoratore fosse causalmente riferibile alle lavorazioni di fibre di lana di roccia, nelle condizioni in cui tali lavorazioni venivano effettuate nel reparto cui era addetto )”.

Citiamo ancora la Sentenza della  Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 20 maggio 2004, n. 9634: “ Nella ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale – quale il tumore – il nesso di causalità relativo all’origine professionale di esso non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, che può essere, peraltro, data anche in via di probabilità, ma soltanto ove si tratti di “ probabilità qualificata “, da verificarsi attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre in certezza giuridica le conclusioni in termini probabilistici del consulente tecnico. ( Nella specie la Corte Suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato una domanda del superstite di lavoratore deceduto per neoplasia polmonare, ritenendo che la dipendenza della neoplasia dalle lavorazioni di saldatura e verniciatura dei metalli alle quali era addetto il lavoratore rimaneva a livello di mera probabilità teorica, senza essere giuridicamente qualificabile come probabile concausa a fronte di altri fattori, quali il tabagismo e l’esistenza di una pregressa T.B.C. polmonare, che emergevano come probabili cause della neoplasia )”. E ancora: la Sentenza della  Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 21 giugno 2006, n. 14308: “ In tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata ( autotrasporto di materiali quali sali e pietrisco provenienti dalle miniere ), la prova della derivazione della malattia da causa da lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità. ( Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che, recependo le conclusioni del C.T.U., aveva rigettato la domanda dell’assicurato, affermando l’esistenza di una mera possibilità, e non di una probabilità, che l’esposizione alle polveri dell’autotrasportatore per i brevi periodi in cui il camion sostava in attesa nell’area della miniera per le operazioni di carico e scarico abbia determinato la broncopneumopatia di cui soffre il ricorrente ) “.

La Redazione Giuridica di questo Blog medico legale e giuridico, nel commento di una Sentenza molto recente, ha scritto: “Omissis.  In ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 38372 pronunciandosi sul ricorso di una donna che si era vista respingere, in sede di merito, la domanda proposta nei confronti dell’INAIL e volta a conseguire la rendita ai superstiti in seguito alla scomparsa del coniuge. Omissis “.

Al riguardo, consulenze tecniche di ufficio non precise, alquanto aleatorie nelle consi- derazioni di ordine normativo, che pure  deve essere patrimonio culturale del medico legale, hanno contribuito a creare una certa confusione tra il comportamento che si deve avere in ambito di studio della prova della causa di lavoro delle malattie tabellate ben differente da ciò che comporta lo studio di quella delle malattie non tabellate.

Infatti,  se appare vero che in caso di malattia non tabellata, sia essa a genesi monofattoriale che a maggior ragione plurifattoriale, la normativa, anche interpretata più volte dalla Suprema Corte, ammette che la prova della causa di lavoro di una patologia può essere data anche secondo il criterio probabilistico ( ove si tratti di una probabilità qualificata ) questo concetto giuridico non può essere applicato alle  malattie tabellate, ove vige il regime della “ presunzione legale di origine della infermità tabellata da agente tabellato “.  E, nella fattispecie, come ha ampiamente  ribadito la Corte di Cassazione Lavoro, la prova contraria deve avere carattere di certezza e non di  tipo probabilistico.  Su questo punto anche la medesima INAIL, sull’ultimo capoverso delle Linee di indirizzo, sopra riportate, si è così espressa: “ Omissis. Quando gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di sufficiente efficacia causale, concorrano con fattori extralavorativi dotati, invece, di tale efficacia, è esclusa l’origine professionale della malattia  “.   Quanto qui dedotto e ribadito non appare citazione peregrina in quanto la noxa  chiamata in causa deve, per essere esclusa dalla catena di causazione, avere carattere di occasionalità o  di saltuarietà ai fini di potersi escludere un suo intervento nel determinismo dell’insorgenza della infermità   denunciata. Ritorneremo più compiutamente su questo aspetto quando tratteremo l’argomento dei tumori professionali radioindotti, per cui la Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro con Sentenza n. 16048   del 14 giugno 2019, ha cassato  una Sentenza della Corte di Appello del Tribunale de L’Aquila che aveva ammesso come strumento utilizzato ai fini di respingere all’indennizzo il criterio  della probability of causation , criterio che si basa su una metodologia di tipo probabilistico  utilizzata per anni presso l’Istituto INAIL per  patologie tabellate quali i tumori radioindotti. E per giunta, come nella Sentenza appena riportata,  in  sanitario con esposizione protratta per molti  anni a  radiazioni ionizzanti.   La Corte di Cassazione, al riguardo, richiamandosi a precedenti decisioni, ha dedotto: “ Omissis.  Dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico dell’I.N.A.I.L., quale è, in particolare, la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure il fatto che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa è necessario accertare, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, che da solo o in misura prevalente, abbia cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tale regola deve essere, tuttavia, temperata in caso di malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso, con la precisazione che in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l’I.N.A.I.L. può solo dimostrare che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo” (così Cass. n. 23643/2016 cit.); nella specie, la Corte d’Appello di L’Aquila non si è attenuta a questi principi, atteso che, pur in presenza di esposizione a radiazioni ionizzanti per oltre trenta anni, ha rigettato la domanda senza fornire adeguata motivazione sul perché, nonostante la pacifica prolungata esposizione del Gadaeta alle suddette radiazioni che presentano coefficienti di rischio cancerogeno, come ampiamente argomentato dallo stesso consulente, sia pervenuta alla conclusione della completa inefficacia causale della soggezione alle radiazioni medesime; tale giudizio può essere espresso solo se con certezza si ravvisi l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni (cfr., in tal senso, Cass. n. 5704/2017 cit.);  omissis.

…continua.

Avv. Emanuela Foligno, Dr. Carmelo Galipò, Dr. Carmelo Marmo

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