Liquidazione del danno biologico quando causa una ridotta sopravvivenza

Guarda gli ultimi Webinar e Tavole Rotonde

Liquidazione del danno biologico quando esso può causare una ridotta sopravvivenza: la solita chiarezza del Consigliere Marco Rossetti e i dubbi medico-legali ad essa legati

Parlando della liquidazione del danno biologico e delle conseguenze ad esso collegabili (quali il decesso, per esempio) potrebbero sorgere alcuni dubbi, specie durante la lettura della recente sentenza (n. 26118 del 27 settembre 2021) del Consigliere Marco Rossetti, il quale cerca di tirare le somme confrontando due “filoni” giurisprudenziali apparentemente contrastanti.

La risoluzione che propone il Cons. Rossetti, sempre geniale e chiara, è la seguente (si consiglia comunque di leggere per intero la sentenza):

“Se il rischio di contrarre malattie in futuro o di morire ante tempus, a causa dell’avverarsi del rischio latente, costituisce un danno alla salute, di esso si deve tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, secondo le indicazioni della medicina legale”. Ulteriore corollario: “Se dunque il grado di invalidità permanente suggerito dal medico-legale, e condiviso dal Giudice, venga determinato tenendo conto del suddetto rischio, insito nei postumi a causa della loro natura o gravità, la liquidazione del danno biologico dovrà avvenire tenendo conto della (minore) speranza di vita in concreto, e non di quella media”. Altrimenti, si finirebbe col liquidare due volte il medesimo danno: in un primo momento “attraverso l’incremento del grado di percentuale di invalidità permanente”, e successivamente“ tenendo conto della speranza di vita media, invece che della speranza di vita concreta”.

Nel caso in cui, invece, “il rischio latente non sia stato tenuto in conto del grado percentuale di invalidità permanente: vuoi perché non contemplato dal bareme utilizzato nel caso concreto; vuoi per maltalento del medico-legale”, il giudice del merito dovrà tener conto del pregiudizio in esame, “maggiorando la liquidazione in via equitativa: e nell’ambito di questa liquidazione equitativa non gli sarà certo vietato scegliere il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima: e dunque in base alla vita media nazionale, invece che alla speranza di vita del caso concreto”.

Ciò sarà possibile, ad esempio, nei casi più gravi, ove è massimo il divario tra la vita attesa secondo le statistiche mortuarie, e la concreta speranza di vita residua. “Quel che unicamente rileva, ai fini della legittimità della decisione” – mette in risalto la sentenza – “è che il giudice di merito dia conto dei criteri seguiti tanto nel determinare il grado di invalidità permanente, quanto nel monetizzarlo in via equitativa”.

Adesso parliamo di medicina Legale e della valutazione del danno biologico ricollegandola alla sentenza in esame e al suo contenuto concettuale che si condivide quasi tutto. E ciò lo si vuole fare attraverso delle sintetiche riflessioni:

  1. Il fatto illecito è causa del danno evento e del danno conseguenza (danno biologico o decesso), quindi le conseguenze di un fatto illecito vanno sempre risarcite nella loro integralità se sono valutabili medico-legalmente, o in via equitativa se non è possibile valutare il danno in termini di medico legali.
  2. Il medico legale può certamente valutare non solo gli esiti permanenti al momento della visita peritale, ma anche eventuali e prevedibili peggioramenti (sempre in termini di postumi permanenti);
  3. Il medico legale può certamente valutare il caso in cui certi esiti permanenti possano portare a morte anticipata il danneggiato (sempre in termini probabilistici rispetto alla vita media di un soggetto sano).
  4. Ma le considerazioni fatte ai punti 2 e 3 hanno delle limitazioni insite nella reale quantificazione del peggioramento dei postumi (che quindi non dovrebbero essere considerati permanenti, ma in evoluzione) e della reale ulteriore perdita della funzionalità e dell’eventuale perdita totale di funzionalità corrispondente al decesso. E quindi anche il medico legale dovrà valutare in termini equitativo-razionali e non per accertamento reale della perdita della funzionalità. E non è il suo compito principale.

Fatte queste premesse, secondo lo scrivente bisognerebbe riflettere se un eventuale decesso collegato causalmente ai postumi di un illecito non ci possa autorizzare a definire malattia tutto il periodo decorso tra il decesso e il danno evento (lesione).

Se così si pensa allora la liquidazione andrebbe fatta considerando come malattia (invalidità temporanea) il periodo intercorso tra lesione e decesso (con relativa personalizzazione relativa alla sofferenza e alla capacità di attendere alla normali attività della vita quotidiana) e il decesso come conseguenza del fatto illecito e risarcibile in qualità di danno iure proprio della vittime secondarie (eredi).

Se poi ci si vuole attenere (come mi sembra logico) alla sentenza del Cons. Rossetti, il come liquidare equitativamente il danno alla vittima primaria (danneggiato deceduto) sarà compito del giudice che dovrà motivare con logica l’entità del risarcimento.

Mi si passi tutto quanto detto come spunto di riflessione medico legale, anche per organizzare una tavola rotonda sull’argomento insieme a giuristi di spessore.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

Leggi anche:

Contenzioso e consulenti: irrisolvibile senza la “buona pratica” del ctu

spot_img

Iscriviti alla newsletter dell'Accademia!

Resta sempre aggiornato sulle iniziative, gli eventi e gli speciali dell'Accademia della medicina legale. Ti aspettiamo!

Potrebbe interessarti anche: